MINISTERO DELLA SALUTE
CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITÀ
SESSIONE XLV SEZIONE II
Seduta del 28 Aprile 2004
IL CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITÀ
SEZIONE II
Vista la relazione del Dipartimento della Prevenzione e della Comunicazione, Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, avente per oggetto: Legge 3 aprile 2001 n. 138
Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici. Accertamento della cecità civile: aggiornamento della modulistica in uso preso atto che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha chiesto alla Direzione Generale della Prevenzione un parere concernente l’ambito di applicazione della Legge in oggetto e, in particolare, i riflessi della stessa nei confronti dell’accertamento della cecità civile proponendo, al riguardo, la propria interpretazione, secondo la quale le nuove definizioni non possono essere prese in considerazione ai fini dell’accertamento della cecità civile, visto che l’articolo 1 della stessa legge recita che «Tale classificazione di natura tecnico-scientifica non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche e sociali in campo assistenziale».
Vista la relazione del prof. Ratiglia
Considerato che, ai sensi della succitata Legge, la classificazione e la quantificazione delle minorazioni visive risulta innovativa e scientificamente adeguata, in quanto in questa valutazione si tiene conto sia dell’acutezza visiva centrale che del campo visivo, due elementi che, se alterati, possono invalidare la funzione visiva in modo differente per gravità.
Tenuto conto che:
– la riduzione del campo visivo binoculare sotto del 3% previsto per la definizione di cieco totale risulta estremamente invalidante, tanto quanto un’acutezza visiva ridotta alla percezione della luce e al moto della mano, in quanto non consente assolutamente la deambulazione del paziente; – se il residuo perimetrizzato inferiore al 3% è localizzato nella porzione più centrale, che corrisponde all’area foveale, può comportare un residuo di acutezza visiva centrale più alto del moto della mano e superiore pertanto ai parametri di acuità previsti in tema di indennizzo civile, ma comunque non consentendo all’individuo una deambulazione autonoma.
RITIENE OPPORTUNO
che la classificazione e la quantificazione del danno visivo, ai sensi della Legge 3 aprile 2001 n. 138, sia presa a riferimento in tutti gli ambiti in cui si effettua una valutazione medico legale del danno funzionale.
In merito alla corrispondenza fra la misura in gradi del restringimento del campo visivo e la nuova definizione introdotta dalla succitata legge, che fa riferimento ad un residuo perimetrico binoculare inferiore al 3% per i ciechi totali, al 10% per i ciechi parziali, al 30%, 50%, 60% per gli ipovedenti,
APPROVA
l’allegato documento predisposto dal prof. Ratiglia su «Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici»
Titolo:
Relazione su: «Classificazione e quantificazione della minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici» di R. Ratiglia
INTRODUZIONE
Per minorazione visiva s’intende una riduzione più o meno grave della funzione sensoriale che consegue ad un danno avvenuto a carico dell’apparato visivo. Il coinvolgimento patologico può interessare non solo il bulbo oculare, ma anche i suoi annessi, le vie nervose che veicolano gli stimoli visivi verso il sistema nervoso centrale, nonché la corteccia cerebrale.
La funzione visiva globalmente intesa comprende numerose capacità percettive specifiche, quali l’acutezza visiva, il campo visivo, la sensibilità al contrasto, il riconoscimento dei colori, il senso del rilievo, la stereopsi, la resistenza all’abbagliamento, la capacità di adattamento, la percezione del movimento, ecc… Quando si verifica un danno del sistema visivo, alcune capacità percettive possono risultare alterate più di altre e la quantificazione precisa della minorazione richiederebbe un esame funzionale completo, certamente non eseguibile nella «routine» clinica. Dal punto di vista classificativo, pertanto, occorre valutare soprattutto le due capacità percettive principali, quelle cioè che consentono all’individuo di interagire con l’ambiente e di mantenere una completa autonomia nella vita di tutti i giorni: acutezza visiva e campo visivo. Le altre capacità sono meno importanti, poiché completano e migliorano la qualità della visione, senza possedere un peso così determinante nell’economia visiva dell’individuo.
L’acutezza visiva è la capacità di riconoscere nei minimi dettagli l’oggetto fissato. Essa dipende dall’elevato potere risolutivo presente in una piccola area centrale della retina, chiamata fovea, e dalla integrità delle vie nervose che si originano dai neuroni presenti a questo livello.
Il campo visivo è la capacità di percepire, in modo indistinto, gli oggetti che compongono l’ambiente nel cui centro si trova l’oggetto fissato. Tale capacità dipende dalla funzione dell’intera retina extrafoveale, fino all’estrema periferia, e dalla integrità delle vie nervose che provengono dai neuroni presenti in tutta la retina, fovea esclusa. Si può quindi distinguere una visione centrale distinta (acutezza visiva), che permette di riconoscere le caratteristiche dell’oggetto fissato, ed una visione periferica (campo visivo), indistinta, che fornisce un’informazione generica sull’ambiente, grazie alla quale l’individuo riesce ad orientarsi ed a muoversi nello spazio.
Esistono malattie che colpiscono elettivamente la visione centrale e fanno decadere l’acutezza visiva dai livelli normali (10/10, corrispondenti ad una capacità risolutiva angolare di circa 1’ di grado), fino a valori progressivamente più bassi, talora inferiori ad 1/10. Le affezioni più spesso alla base di questo tipo di danno sono le maculopatie (congenite, giovanili, post-traumatiche, legate alla senescenza, ecc.) e le neuropatie ottiche (eredofamilari, tossico-carenziali, legate alle sindromi demielinizzanti, ecc.).
Altre malattie, al contrario, danneggiano elettivamente la visione periferica, come ad esempio la retinopatia pigmentosa ed il glaucoma. In questi casi, il campo visivo si restringe progressivamente fino a diventare «tubulare»: il paziente colpito da queste affezioni riconosce gli oggetti fissati, ma non riesce a muoversi autonomamente nello spazio.
Quando una minorazione visiva, centrale o periferica o mista, raggiunge un grado tale da impedire ad un soggetto il compimento degli atti elementari della vita quotidiana necessari per gestire se stesso, per lavorare, per comunicare e per interagire autonomamente con l’ambiente, ci si trova in una situazione di ipovisione (centrale o periferica, a seconda che si riduca prevalentemente l’acutezza visiva o il campo visivo) o di cecità (centrale o periferica), qualora il residuo funzionale sia minimo, non utilizzabile, o completamente assente. È pertanto chiaro come l’ipovisione sia presente quando la minorazione visiva produce una incapacità visiva o, più correttamente, una disabilità visiva bilaterale ed irreversibile non completa, ma di entità rilevante. In termini numerici, il Gisi (Gruppo Italiano per lo Studio dell’Ipovisione), anche sulla base dei valori riconosciuti dall’«Organizzazione Mondiale della Sanità», ha stabilito che l’ipovisione centrale è da considerarsi lieve quando il residuo visivo è inferiore a 4/10 e compreso tra 3/10 e 2/10, moderata se il residuo è compreso tra 2/10 ed 1/10, grave quando il residuo si colloca tra 1/10 ed 1/20. In caso di danno ancora maggiore si parla di cecità centrale relativa (o parziale, con residuo funzionale minimo) per visus compresi tra 1/20 e conta delle dita e di cecità centrale assoluta (o totale) per capacità funzionali centrali completamente assenti o ridotte alla percezione del movimento della mano od alla mera percezione della luce.
Analogamente, l’ipovisione periferica è classificata, in base al residuo perimetrico percentuale, in tre livelli (lieve, moderata e grave), rispettivamente con danno del campo visivo compreso tra il 40 ed il 50%, tra il 50 ed il 70% e tra il 70 ed il 90%. Se il danno perimetrico è ancora più grave, si cade nella situazione cosiddetta di cecità periferica relativa (campo visivo residuo tra il 9 ed il 3%) oppure assoluta (campo visivo residuo inferiore al 3%).
Il perimetro automatico più diffuso è certamente l’Humphrey field analyzer II (HFA II, San Leandro, Ca). Con tale apparecchiatura è possibile eseguire una quantificazione percentuale del danno perimetrico binoculare utilizzando un programma messo a punto da Estermann. Questo programma era stato inizialmente predisposto per la perimetria manuale e venne, poi, adattato alla perimetria automatica ed inserito nel «menu» dei più diffusi perimetri automatici. Il «pattern» del test di Estermann era utilizzabile, nella perimetria manuale cinetica binoculare, sovrapponendo una griglia di 120 punti al di sopra del diagramma isopterico. Tale programma deviava dalle griglie monoculari dello stesso Autore, costituite da 100 punti ciascuna.
Esso venne adattato alla perimetria automatica statica Humphrey ed Octopus, mediante una strategia che prevedeva l’uso di un singolo livello di stimolazione. Lo stimolo utilizzato aveva un’intensità pari a 10 dB (1000 asb).
Diversi studi hanno impiegato il programma di Estermann per valutare il danno perimetrico e per correlare i punteggi ottenuti con i risultati delle altre metodiche di quantificazione della minorazione visiva. Da questi studi è emerso che il principale inconveniente del metodo di Estermann consiste nel fatto che non vengono prese in considerazione le aree di campo visivo in cui la sensibilità è solo parzialmente ridotta, proprio perché lo stimolo ha sempre la stessa intensità, quasi massimale: in tal modo si verifica una sottostima del danno realmente presente e non si ottiene una valutazione precisa della disabilità del paziente.
SISTEMA PROPOSTO dal Gisi e dalla Sipe
Per la valutazione percentuale del danno perimetrico, il Gisi e la Sipe hanno suggerito la possibilità di utilizzare il programma messo a punto, già da alcuni anni, da Zingirian & Gandolfo; tale programma può essere gestito con i principali perimetri automatici e fornisce un’analisi del campo visivo binoculare rapida e completa, con agevole calcolo della minorazione della visione periferica. Questo programma perimetrico binoculare risponde a diverse esigenze di tipo gestionale ed assicura una valutazione ottimale del campo visivo funzionale (ci informa, cioè, sulla effettiva importanza del danno visivo periferico nelle condizioni normali delle attività quotidiane):
– è un programma nel quale l’intensità dello stimolo è correlata alla classe di età del paziente ed al gradiente fisiologico della sensibilità; la strategia, inoltre, è del tipo «3 zone », per cui gli stimoli appena sopraliminari non percepiti vengono ripresentati una seconda volta e, se ancora non si verifica la percezione, la luminanza viene aumentata fino al suo valore massimale; i difetti, in tal modo, vengono classificati come assoluti o relativi;
– è un esame di breve durata e di agevole gestione anche in soggetti facilmente affaticabili e con problemi nella capacità di collaborazione (soggetti anziani, bambini, pazienti neurologici, ecc.); – è un esame che tiene conto delle aree perimetriche più importanti dal punto di vista funzionale (campo visivo paracentrale ed inferiore), aumentando il numero dei punti esplorati in quelle zone la cui integrità è fondamentale per assicurare l’autonomia nell’ambiente; su 100 punti esplorati, infatti, 60 sono collocati nell’emicampo visivo inferiore (più importante per la mobilità nell’ambiente e per la lettura) e solo 40 in quello superiore; 64 punti, inoltre, sono collocati nel campo visivo paracentrale (5-30ø) e solo 36 in quello periferico (30-60ø), meno importante per l’autonomia;
– consente un agevole calcolo del danno percentuale: i punti visti con stimolo appena sopraliminare hanno valore pari a 1; quelli visti solo con stimolo massimale hanno valore 0,5; quelli non visti hanno valore 0.