SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
Sezione Civile VI
Ordinanza 11750 del 21/04/2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA
ORDINANZA
sul ricorso 24524-2012 proposto da:
— omissis —, elettivamente domiciliata in — omissis –, presso l’Ufficio Legale Centrale del Patronato ACTA, rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO FAGGIANI, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Direttore Centrale delle Pensioni, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI CALIULO, SERGIO PREDEN, LIDIA CARCAVALLO, ANTONELLA GIUSEPPINA GLANNICO giusta procura in calce al ricorso notificato;
– resistente con procura –
avverso la- sentenza n. 908/2011 della _CORTE D’APPELLO di GENOVA del 5/10/2011, depositata 11 27/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito l’Avvocato SERGIO PREDEN difensore dell’I.N.P.S. che non ha nulla da osservare.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente contenuto:
<<Con sentenza n. 908/2011 depositata in data 27/10/2011, la corte di appello di Genova, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Adavari, confermava il diritto di — omissis — alla pensione anticipata di vecchiaia ai sensi dell’art. 1, comma 8, del d.lgs. n. 503/92 ma disponeva che l’erogazione della stessa avvenisse in alternativa all’erogazione dell’assegno mensile di assistenza, ritenendo sussistente una incompatibilità tra le due prestazioni.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione — omissis —, affidato ad un motivo.
L’I.N.P.S. ha depositato procura in calce al ricorso notificato.
Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 1 e 8, del d.lgs. n. 503/1992 e dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 791/81, convertito con modifirazioni dalla legge n. 54/1982 dolendosi della ritenuta incompatibilità tra l’assegno mensile di assistenza di cui all’art. 13 della legge n. 118/1971 con la pensione di vecchiaia anticipata. Rileva che tale incompatibilità è stata legislativamente prevista solo le <pensioni dirette di invalidità> e che tale non può essere considerata la pensione anticipata di cui all’art. 1, comma 8, del d.lgs. n. 503/1992 che è un trattamento diretto di vecchiaia (e non di invalidità).
Il motivo è manifestamente fondato.
Il diritto a pensione anticipata di vecchiaia è invero riconosciuto dall’art. 1, comma 8, del d.lgs. n. 503/1992, in favore dei soggetti con una invalidità pari almeno all’80%. Come è noto, infatti, con siffatto decreto legislativo, recante <Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici>, è stata disposta l’elevazione dei limiti di età per conseguire la pensione di vecchiaia a carico dell’AGO (assicurazione generale obbligatoria) gestita dall’I.N.P.S., da 55 a 60 anni per le donne e da 60 a 65 anni per gli uomini. Tuttavia, l’art. 1, comma 8, dello stesso decreto stabilisce che detto innalzamento non trova applicazione nei confronti dei soggetti <invalidi in misura non inferiore all’80%>, per i quali, quindi, l’età pensionabile resta ancora stabilita a 55 anni, se donne, e a 60 se uomini.
Non si tratta, dunque, di una pensione diretta di invalidità bensì di una anticipazione dei normali tempi di perfezionamento del diritto alla pensione attuata attraverso un’integrazione ex lege del rapporto assicurativo e contributivo, che consente, in presenza di una situazione di invalidità, una deroga ai limiti di età per il normale pensionamento.
Lo stato di invalidità costituisce, dunque, solo la condizione in presenza della quale è possibile acquisire il diritto al trattamento di vecchiaia sulla base del requisito di età vigente prima dell’entrata il vigore del d.lgs. n. 503/1992 ma non può comportare lo snaturamento della prestazione che rimane un trattamento diretto di vecchiaia (finanziato dallo stesso soggetto del rapporto assicurativo, sul quale gravano i contributi, e diretto a coprire i rischi derivanti dalla vecchiaia), ontologicamente diverso dai trattamenti diretti di invalidità (pure a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e diretto a coprire i rischi derivanti, appunto, dall’invalidità) previsti dalla legge n. 222/1984.
Non si verte, dunque, nell’ipotesi di incompatibilità di cui al d.l. 22 dicembre 1981, n. 791 convertito con modificazioni dalla legge 26 febbraio 1982, n. 54 che all’art. 9, comma 1, testualmente prevede: <A decorrere dal 1° gennaio 1982, l’assegno mensile di cui all’art. 13 dellg legge 30 marzo 1971, n. 118, è incompatibile con le pensioni dirette di invalidità a qualsiasi titolo erogate dall’assicuraione generale obbligatoria per la invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, dalle gestioni sostitutive, esonerative ed esclusive della medesima, nonché dalle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, dalla gestione speciale minatori e con le prestazioni pensionistiche dirette di invalidità a qualsiasi titolo erogate da altre casse o fondi di previdenza ivi compresi quelli dei liberi professionisti…>.
Peraltro, tra i presupposti per l’ottenimento della pensione di vecchiaia anticipata non compare il requisito negativo di non essere titolare di assegno o pensione di invalidità civile.
In assenza, dunque, di limitazioni, non è precluso al titolare di assegno mensile di assistenza il pensionamento anticipato previsto dall’indicata norma né le due prestazioni sono tra loro incompatibili (si veda, sul riconoscimento del diritto al pensionamento anticipato previsto dall’art. 16 della legge 23 aprile 1981, n. 155 anche in favore di titolari di assegno o pensione di invalidità, Cass. 23 novembre 1999, n. 13009).
Per tutto quanto sopra considerato, si propone raccoglimento del ricorso e la cassazione, in parte qua, della sentenza impugnata con decisione nel merito ed esclusione della prevista erogazione della pensione anticipata di vecchiaia in alternativa a quella dell’assegno mensile di assistenza, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.>>.
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto condivisibili, siccome coerenti con la prevalente giurisprudenza di legittimità in materia e che sussista con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod. proc. dv. per la definizione camerale del processo.
3 – In conclusione il ricorso va accolto e va cassata la sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito ex art 384, secondo comma, cod. proc. civ., nei termini di cui alla sentenza di primo.
4 – La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decide nel merito nei termini di cui alla sentenza di primo grado, che conferma anche per le spese processuali di quel grado. Condanna l’I.N.P.S. al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di appello, che liquida in euro 1.800,00 (di cui euro 1.000,00 per onorari), e delle
spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 100,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%, da corrispondersi, queste
ultime, all’avv. Guido Faggiani, antistatario.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2015