Corte di Cassazione, Sez. Lavoro- sent. N. 18847 del 07.08.2013

Pres. Roselli 
Rel. De Renzis
M.P. (avv. Cossu) c/ INAIL ( Avv. La Peccerella – Favata).

…Omissis …

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso, depositato il 28.11.2001 M.P. esponeva:

  • che in data 9 dicembre 1994 si trovava alla guida di autoveicolo di proprietà della datrice di lavoro EDIL STRADE S.p.A., quando avvertiva gravi malesseri, accompagnati da sudorazione con immediato dolore agli arti;
  • che, rientrato nel proprio domicilio, subiva ricovero ospedaliero, a seguito del quale gli veniva diagnosticato infarto del miocardio.

Ciò premesso, conveniva in giudizio l’INAIL per sentir riconoscere che l’evento era da riconoscere come infortunio sul lavoro e per sentir condannare l’ente previdenziale alla relativa rendita per inabilità permanente nella misura prevista dalla legge.

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All’esito, espletata consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale di Forlì con sentenza n. 564 del 2002, espletata consulenza tecnica di ufficio, rigettava la domanda, adeguandosi alle conclusioni peritali.

Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza n. 691 del 2008 che ha rigettato l’appello proposto dal M., rilevando che, pur potendo qualificarsi come infortunio sul lavoro l’evento in questione, era fondata l’eccezione di prescrizione, tempestivamente sollevata dall’INAIL in primo grado, per il decorso del termine triennale di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112 essendo stata inoltrata la prima richiesta di prestazioni all’ente previdenziale soltanto il 13 settembre 2000. La Corte territoriale, richiamandosi ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale e ai precedenti giurisprudenziali di questo giudice di legittimità, ha osservato nel caso di specie il termine di prescrizione del diritto alla rendita permanente da infortunio sul lavoro era decorso, avendo avuto il M. piena consapevolezza dei postumi e della relazione concausale tra malattia (infarto) ed attività lavorativa, a partire dal 1995, quando egli aveva cessato ogni attività lavorativa con il riconoscimento della pensione di invalidità da parte dell’INPS e con il cambiamento in senso radicale delle sue abitudini di vita.

3. Il M. ricorre per cassazione affidandosi a tre motivi.
L’INAIL resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c..
Il difensore del ricorrente, all’esito della pubblica discussione, ha depositato osservazioni ex art. 379 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il M. lamenta violazione dell’art. 2697 c.c. con riferimento all’eccezione di prescrizione di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 112.
Il ricorrente sostiene che l’impugnata sentenza non ha fatto buongoverno delle richiamate norme, giacché l’onere della prova circa il requisito della consapevolezza era a carico dell’INAIL, essendo uno degli elementi costituivi dell’eccezione dell’ente previdenziale.
Il motivo è illustrato con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte Suprema se, ai sensi della normativa in epigrafe, nel caso di infarto del miocardio, avvenuto durante il lavoro, l’onere della prova che l’assicurato abbia avuto consapevolezza della configurabilità di tale evento quale infortunio e della sua riconducibilità causale all’attività lavorativa in data precedente il triennio la data di presentazione della domanda amministrativa gravi sull’Ente assicuratore che eccepisca la prescrizione, come ritenuto dal ricorrente e non già sull’assicurato, come ritenuto dalla Corte di Appello”.

Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto illogica motivazione circa i fatti posti dalla Corte di Appello a fondamento della presunzione di conoscenza, da parte del M., già dal 1995, della configurabilità del suo infarto quale infortunio sul lavoro.
Il M. osserva che le circostanze, indicate dalla Corte di Appello circa la consapevolezza del consolidamento dei postumi fin dal 1995, sono del tutto non conferenti rispetto alla consapevolezza in ordine alla configurabilità dell’infarto quale infortunio sul lavoro.
E’ evidente, secondo il ricorrente, che il cambiamento di abitudini di vita e la cessazione dell’attività conseguono alla gravita dell’infortunio e non già alle ragioni che hanno cagionato lo stesso.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa e, comunque, insufficiente motivazione circa i fatti decisivi che escludevano che, in epoca precedente la presentazione della domanda all’INAIL, il M. potesse fondatamente presumere che il suo infarto configurava un infortunio sul lavoro.
In particolare il ricorrente pone in evidenza che lo stesso INAIL sia in sede stragiudiziale sia nel giudizio ha sempre sostenuto che l’infarto non era configurabile quale infortunio sul lavoro, mancando la causa violenta;
Conclusioni queste fatte proprie anche dal CTU e dal giudice di primo grado.

Il secondo e il terzo motivo sonno corredati dai relativi quesiti di diritto.

2. I tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro intima connessione, sono privi di pregio e vanno disattesi.

La Corte territoriale ha ritenuto che il M. abbia progressivamente percepito sia il superamento della soglia invalidante sia l’incidenza della malattia sulla sua attitudine lavorativa nel periodo intercorrente tra la data della verificazione dell’evento (dicembre 1994) ed il riconoscimento da parte dell’NPS della pensione di invalidità avvenuto nel 1995.
Dal quadro così delineato la Corte ha tratto la convinzione della acquisita consapevolezza da parte del M. del consolidamento dei postumi e della relazione concausale tra malattia e attività lavorativa in precedenza svolta.
Nel procedere a tale verifica la Corte si è attenuta all’orientamento di questa Corte, affermato più volte e di recente ribadito, secondo il quale a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 206 del 1988 – dichiarativa dell’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 135, comma 2 nella parte in cui poneva una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui veniva presentata all’istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico – nel regime normativo attuale la manifestazione della malattia professionale, rilevante quale dies a quo per la decorrenza del termine triennale di prescrizione di cui al D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 12 può ritenersi verificata quando la consapevolezza circa l’esistenza della malattia, la sua origine professionale e il suo grado invalidante siano desumibili da eventi oggettivi ed esterni alla persona dell’assicurato, che costituiscano fatta noto, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., come la domanda amministrativa, nonché la diagnosi medica contemporanea, dai quali la malattia professionale sia riconoscibile per l’assicurato (Cass. n. 2285 del 31 gennaio 2013; cfr anche Cass. n. 14281 del 2011).
A tale valutazione, che poggia su adeguata e coerente motivazione, il ricorrente si è limitato ad opporre un diverso apprezzamento, soprattutto in relazione alle circostanze indicate dal giudice di appello come indici della consapevolezza, da parte dell’assicurato, dei postumi indennizzabili e della natura professionale dell’infarto già dall’epoca (anno 1995) del riconoscimento della pensione invalidità, non consentito in sede di legittimità.

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3. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.

Nessun pronuncia va emessa sulle spese ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo vigente al momento della presentazione del ricorso di primo grado anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11 (convertito nella L. n. 326 del 2003), entrato in vigore il 2.10.2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.

Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2013


 

 

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