Corte di Cassazione civile – Sezione lavoro – Sentenza 17 maggio 2006, n. 11525

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE – SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

……………….omissis………………………..

SENTENZA

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sul ricorso proposto da:

M.V., in qualità di genitore esercente la patria potestà della figlia minore M.C., elettivamente domiciliato in … omissis …

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, … omissis …

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

avverso la sentenza n. 721/02 della Corte d’Appello di MILANO, depositata il 06/12/02 R.G.N. 149/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/02/06 dal Consigliere Dott. NOBILE Vittorio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

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Con ricorso del 8/2/2002 M.V., quale genitore esercente la patria potestà sulla figlia minore C., proponeva appello avverso la sentenza n. 474/02 del Giudice del Lavoro del Tribunale di Como perché, in riforma della stessa, fosse accertato che la figlia aveva diritto, fin dalla nascita, all’indennità di accompagnamento (o quanto meno da data precedente rispetto alla decorrenza riconosciuta, 1/10/1998 ) o, in subordine, fosse condannato il Ministero dell’Interno al risarcimento dei danni conseguenti alla perdita dei ratei dal 2/3/1995 al 30/9/1998.

All’uopo, tra l’altro, sosteneva che non esiste nella legge un limite di età per godere del beneficio e che fin dalla nascita la figlia aveva avuto necessità di un’assistenza particolare a causa della sua grave malattia.

Si costituivano l’INPS e i Ministeri dell’Interno e dell’Economia e delle Finanze, resistendo all’appello e rilevando, tra l’altro, che dalla nascita il minore ha sempre necessità di assistenza e cure continue per cui non sussistevano i requisiti per la concessione dell’indennità retroattivamente.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza depositata il 29/1/2003, confermava l’impugnata sentenza.

In particolare la Corte territoriale, premesso che il M. “ha ottenuto l’indennità di accompagnamento per la figlia minore affetta da grave handicap dalla nascita, quando la stessa ha compiuto il terzo anno di età”, affermava che: “In precedenza, come già il giudice di 1° grado ha osservato, non esisteva il diritto, mancando i presupposti previsti dalla legge n. 18 del 1980 e dalla legge n. 508 del 1988 per fruire dell’indennità di accompagnamento. I soggetti invalidi che hanno diritto alla indennità devono essere riconosciuti non deambulanti e non autosufficienti, cioè impossibilitati a compiere da soli quelle funzioni quotidiane ne cessane per riuscire a sopravvivere con una certa dignità….

Un bambino di età inferiore ai tre anni non è in grado, evidentemente, di compiere nessuna di tali funzioni, né quindi può vivere da solo mercé, anche se sano, ha sempre la necessità di essere assistito e accompagnato da parte degli adulti.

Non rileva, al fine che qui interessa, l’avere il bambino handicappato bisogno di cure assidue e particolari che impegnano i genitori o altri soggetti; per tali esigenze infatti, e per l’assistenza specifica dell’handicappato, il legislatore ha apprestato altre tutele.” Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il M., nella qualità, con un unico motivo.

L’INPS ha depositato procura e non ha svolto attività difensiva.

Disposta ed effettuata, quindi, la rinotifica del ricorso ai Ministeri dell’Interno e dell’Economia e Finanze presso la Avvocatura Generale dello Stato, gli stessi sono rimasti intimati.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, lamenta che la Corte di Appello di Milano, “prescindendo da qualsiasi esame o valutazione nel merito della sindrome da cui è affetta la bambina, ha escluso a priori la possibilità di poter riconoscere l’indennità di accompagnamento a qualsiasi tipo di patologia per il semplice fatto di essere in tenera età, ovvero per il fatto che un infante deve essere comunque sempre assistito e accompagnato da parte degli adulti”.

All’uopo deduce che “i bambini gravemente handicappati richiedono un’attenzione e un’assistenza continua e specializzata che nulla hanno a che vedere con le cure di cui necessitano i bambini sani ed in particolare, nella fattispecie, evidenzia in dettaglio le cure particolari e specialistiche delle quali ha avuto bisogno la bambina fin dai primissimi giorni di vita, a causa delle sue affezioni ed in specie della “ipotonicità muscolare”.

Il motivo è fondato e va accolto.

Come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Sentenza 24 ottobre 1991 n. 11329 ), “la situazione d’inabilità (impossibilità di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore o necessità di assistenza continua per impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita), necessaria per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento della legge n. 18 del 1980,ex art. 1, può configurarsi anche con riguardo a bambini in tenera età, ancorché questi, per il solo fatto di essere tali abbisognino comunque di assistenza, atteso che la legge, la quale attribuisce il diritto anche ai minori degli anni diciotto, non pone un limite minimo di età; “tenuto conto che detti bambini possono trovarsi in uno stato tale da comportare, per le condizioni patologiche del soggetto, la necessità di un’assistenza diversa, per forme e tempi di esplicazione, da quella occorrente ad un bambino sano” (v. anche da ultimo Cass. 29/1/2003 n. 1377 e Cass. 20/2/2003 n. 2523 , che ha precisato che “i presupposti stabiliti per l’attribuzione di questa indennità non sono stati modificati a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 467 del 2002, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge n. 289 del 1990, art. 1, comma 3, nella parte in cui non prevedeva l’attribuzione dell’indennità di frequenza ai minori, mutilati o invalidi civili, che frequentano l’asilo nido, essendo quest’ultima indennità diversa e non equiparabile a quella di accompagnamento”).

In particolare Cass. S.U. n. 11329 del 1991, (in un caso di accoglimento della domanda relativa ad un bambino deceduto a meno di due anni, per leucosi acuta) ha osservato che: “Si deve ritenere che anche per gli infanti, che pure, per il solo fatto di essere tali abbisognano comunque di assistenza, può verificarsi una situazione, determinata dall’inabilità, la quale comporti che l’assistenza, per le condizioni patologiche in cui versi la persona, assuma forme e tempi di esplicazione ben diversi da quelli di cui necessita un bambino sano. Per il compimento degli atti della vita quotidiana, cui la legge ha riguardo, non esiste identità di situazioni tra soggetti sani e soggetti inabili, anche se, in un caso e nell’altro, di tenera età”.

Tanto affermato in astratto, le Sezioni Unite, hanno, poi, riscontrato che “nel concreto”, in quel caso, con accertamento di fatto, non specificamente ed efficacemente censurato, i giudici del merito avevano ritenuto che il bambino “a causa della grave malattia da cui era affetto, si trovava proprio nella situazione, prevista dalla legge, comportante la necessità di un’assistenza assidua, tale che di essa non avrebbe avuto bisogno qualora fosse stato sano”.

Riguardo a tale accertamento, inoltre, Cass. n. 2523 del 2003 cit.  ha precisato che, nella prima infanzia (così come nella senilità avanzata) “non può prescindersi” “dal parametro mediamente riconducibile a quella determinata fascia di età”, in quanto “solo sul presupposto della valutazione del parametro medio riconducibile ad una determinata fascia di età, si può, successivamente, verificare se lo stato di alterazione derivante dalla patologia in atto sia tale da integrare il presupposto medico – legale per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento”.

Orbene la Corte di Appello di Milano, nell’impugnata sentenza, riconoscendo il diritto in astratto ed aprioristicamente soltanto dal compimento del terzo anno di vita, sulla base delle considerazioni che “un bambino di età inferiore ai tre anni non è in grado di compiere nessuna ” delle funzioni “quotidiane necessarie “, “né può vivere da solo perché , anche se sano, ha sempre la necessità di essere assistito e accompagnato da parte degli adulti “, e che “non rileva, alfine che qui interessa, l’avere il bambino handicappato bisogno di cure assidue e particolari che impegnano i genitori o altri soggetti” ha disatteso del tutto i principi sopra richiamati.

La Corte territoriale infatti:

ha, in sostanza, configurato in via generale ed astratta un limite di età, per il riconoscimento del diritto, che non è affatto previsto dalla legge;

ha ipotizzato una fascia di età (della prima infanzia) al di sotto della quale, sempre in via aprioristica ed astratta, sarebbe identica la necessità di assistenza per tutti gli infanti;

ha negato qualsiasi rilevanza, in tale fascia, alle cure assidue e particolari necessarie ai bambini handicappati, laddove sono proprio queste, in concreto, a determinare quella alterazione rispetto al parametro medio dei bambini sani, che giustifica il riconoscimento del diritto de quo;

infine, ha del tutto ignorato gli aspetti concreti della particolare patologia sofferta dalla M.C., e delle conseguenze sulla assistenza e sulle cure specifiche necessarie, anche prima del compimento del terzo anno di vita.

Il ricorso va, pertanto, accolto e l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione, la quale procederà al riesame, attenendosi ai principi richiamati e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2006. Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2006

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