CORTE COSTITUZIONALE
Sentenza n. 329/2002
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
(…)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 e nuove norme in favore di mutilati e invalidi civili), promosso con ordinanza emessa il 1° giugno 2001 dal Tribunale di Lucca nel procedimento civile vertente tra N. C. e l’INPS, iscritta al n. 651 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di costituzione dell’INPS nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 4 giugno 2002 il Giudice relatore Fernanda Contri;
uditi l’avvocato Nicola Valente per l’INPS e l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso di un giudizio promosso da N. C. contro l’INPS, il Tribunale di Lucca, con ordinanza del 1° giugno 2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 e 3, secondo comma, 31, primo comma, 32, 34 e 38, terzo comma, della Costituzione, dell’art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 e nuove norme in favore di mutilati e invalidi civili), nella parte in cui non prevede il diritto all’assegno per gli studenti maggiorenni invalidi parziali frequentanti un regolare corso di studi e non iscritti alle liste del collocamento obbligatorio.
Il giudice a quo premette in fatto che con ricorso del 23 dicembre 1999 N. C. proponeva appello per chiedere la riforma della sentenza pronunciata dal Pretore di Lucca il 24 aprile 1999, con la quale, in considerazione della mancata iscrizione nelle liste speciali di collocamento, era stata respinta la domanda nei riguardi dell’INPS per il riconoscimento dell’assegno di invalidità nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1997 e il 30 settembre 1997.
Il giudice rimettente osserva che l’art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 – il quale dispone, al primo comma, che ai mutilati e agli invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura superiore ai due terzi, incollocati al lavoro e per il tempo in cui tale condizione sussiste, è concesso un assegno mensile a carico dello Stato – è stato interpretato dalla Corte di cassazione, anche a sezioni unite (Cass., sez. un., 10 gennaio 1992, n. 203), nel senso che il requisito della “incollocazione” abbia valenza costitutiva del diritto alla prestazione assistenziale e per la sua sussistenza non sia sufficiente il mero stato di disoccupazione essendo invece necessario che l’invalido si sia iscritto o abbia presentato domanda di iscrizione nelle liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio e non abbia conseguito un’occupazione in mansioni compatibili.
Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione, così interpretata, con riferimento all’ipotesi del soggetto maggiorenne invalido parziale, il quale essendo in età scolare ed avendo in svolgimento il corso di studio di scuola secondaria sarebbe obbligato, onde non perdere il beneficio economico, a ricercare (ed accettare) nel periodo scolastico un’occupazione lavorativa con tutte le conseguenze pregiudizievoli sul proprio rendimento di studio e sulle condizioni psico-fisiche, già debilitate in origine.
La rigida riconducibilità dell’assegno di invalidità al requisito della iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio sarebbe in contrasto con i principi fondamentali di uguaglianza sostanziale, di tutela della persona e di solidarietà sociale sanciti dalla Carta costituzionale.
In particolare, secondo il giudice rimettente, la norma censurata sarebbe in contrasto con i valori espressi dagli articoli 2, 3, secondo comma, 31, primo comma, 32, 34 e 38, terzo comma, della Costituzione.
La norma censurata non permetterebbe, anzitutto, la piena realizzazione della personalità del soggetto disabile, ostacolandone l’accrescimento culturale e professionale che la frequenza scolastica offre, e costringerebbe il soggetto, al fine di evitare il pregiudizio economico, ad abbandonare gli studi e le relative prospettive professionali, con lesione del diritto all’educazione e alla formazione professionale.
Sarebbe, inoltre, compromessa la finalità dell’inserimento e dell’integrazione sino ai gradi più elevati, e quindi anche dopo il compimento della scuola dell’obbligo, che questa Corte, nella sentenza n. 215 del 1987, ha già affermato essere di fondamentale importanza al fine di favorire il recupero dei soggetti disabili giacché la partecipazione al processo educativo costituisce un rilevante fattore di socializzazione e può contribuire in modo decisivo a stimolare le potenzialità dello svantaggiato attraverso la progressiva riduzione dei condizionamenti indotti dalla minorazione.
La norma censurata non risponderebbe, infine, ai compiti che la Costituzione attribuisce alla Repubblica di agevolare, con misure economiche e con altre provvidenze, l’assolvimento dei compiti della famiglia, tra i quali è quello dell’istruzione e dell’educazione dei figli, e di fornire ausilii per il superamento e l’attenuazione degli handicaps.
2. – Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituito l’INPS, per chiedere che la questione sollevata sia dichiarata inammissibile o, in ogni caso, infondata.
Ad avviso dell’INPS, la questione sarebbe stata sollevata solo in via di mero principio e dovrebbe essere dichiarata inammissibile, in quanto nel caso concreto mancherebbe l’attualità della situazione (effettivo svolgimento di un lavoro, iscrizione, o quanto meno richiesta di iscrizione, alle liste del collocamento obbligatorio) da cui il Tribunale di Lucca fa discendere le negative conseguenze nei confronti dello studente maggiorenne invalido parziale.
Inoltre, a giudizio dell’INPS, non sarebbe affatto dimostrata l’inconciliabilità tra lo studio e il lavoro che eventualmente potrebbe essere affidato all’iscritto alle liste del collocamento, ben potendo il lavoro essere attinente al corso di studi prescelto e ben potendo comunque lo studente-lavoratore invalido far fronte agli impegni lavorativi frequentando un corso di studi serale.
La ratio della norma censurata sarebbe comunque quella di apprestare un sostegno economico al maggiorenne invalido parziale che desidera lavorare, per tutto il tempo in cui questi non riesce ad inserirsi nel mondo del lavoro, e non già quella di aiutare il soggetto disabile che si dedichi agli studi. In quest’ultimo caso, il sostegno economico non potrebbe, dunque, essere assicurato dalle provvidenze previste per l’ipotesi del mancato svolgimento di un’attività lavorativa proficua, bensì dalle specifiche provvidenze apprestate dall’ordinamento per favorire lo studio, tra le quali rientra quella prevista dall’art. 1 della legge 11 ottobre 1990, n. 289, che riconosce agli invalidi civili minori degli anni diciotto che frequentano scuole di ogni ordine e grado un’indennità mensile di frequenza di importo pari all’assegno di cui alla norma censurata.
3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione, in quanto il giudice rimettente avrebbe annesso all'”assegno mensile di assistenza” di cui all’art. 13 della legge n. 118 del 1971 funzioni proprie di altro istituto, l'”indennità di frequenza” di cui alla legge 11 ottobre 1990, n. 289.
La difesa erariale, nell’evidenziare la diversità di ratio dei due istituti, osserva che l’indennità di frequenza avrebbe lo scopo di consentire ai minori invalidi di ricorrere a trattamenti riabilitativi o terapeutici e di frequentare scuole di ogni ordine e grado, centri di formazione e di addestramento professionale. L'”assegno mensile di assistenza” sarebbe rivolto, invece, ad offrire un’alternativa, o meglio, un aiuto di carattere economico al disabile maggiorenne che, pur avendo potenzialità lavorative residue, non riesce a conseguire un’occupazione compatibile con il proprio stato invalidante, cioè un inserimento lavorativo mirato, al quale è preordinata la parallela e complementare normativa sul collocamento di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68 e relativi provvedimenti di attuazione. L’applicazione della norma, così come interpretata dalle sezioni unite della Cassazione, diversamente da quanto rilevato dal Tribunale rimettente, non comporterebbe, quindi, l’obbligo di “ricercare (ed accettare)” un’occupazione lavorativa “qualunque” ma solo l’onere per gli invalidi civili parziali maggiorenni di iscriversi (o presentare istanza di iscrizione) nelle speciali liste di collocamento dei disabili.
Gli unici elementi che accomunano i due istituti sarebbero il requisito reddituale e la misura mensile dell’assegno, non potendo estendersi l’ambito di applicazione dell’assegno mensile anche alla tutela della formazione del soggetto inabile. La difesa erariale segnala, comunque, che l’articolo 24 della legge 8 novembre 2000, n. 328, nel disporre la delega al Governo per il riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, prevede una riclassificazione delle indennità e degli assegni che tenga conto delle funzione assolte dagli emolumenti come misure di contrasto alla povertà e come incentivi per la rimozione delle limitazioni personali, familiari e sociali dei portatori di handicap.
Con specifico riferimento alle argomentazioni svolte dal rimettente in ordine all’interpretazione della Corte di cassazione sul requisito della “incollocazione” al lavoro, la difesa erariale osserva che l’onere dell’iscrizione (o della richiesta di iscrizione) al collocamento per la concessione della provvidenza risponde alla ratio della norma censurata, che non si porrebbe in contrasto con i valori ispiratori dei precetti costituzionali di cui il Tribunale di Lucca prospetta la violazione.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Lucca dubita della legittimità costituzionale dell’art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 e nuove norme in favore di mutilati e invalidi civili), nella parte in cui non prevede il diritto all’assegno per gli studenti maggiorenni invalidi parziali frequentanti un regolare corso di studi e non iscritti alle liste del collocamento obbligatorio.
La disposizione censurata prevede la concessione di un assegno mensile ai mutilati ed invalidi civili di età compresa fra il diciottesimo ed il sessantaquattresimo anno nei cui confronti sia accertata una riduzione della capacità lavorativa, nella misura superiore ai due terzi, che siano “incollocati al lavoro”.
L’espressione “incollocati al lavoro” è intesa dal giudice rimettente, in linea con l’orientamento della Cassazione (sez. un., 10 gennaio 1992, n. 203), nel senso che per la fruizione dell’assegno gli invalidi devono avere quanto meno presentato domanda di iscrizione nelle liste degli aventi diritto al collocamento obbligatorio e non avere conseguito un’occupazione in mansioni compatibili.
La disposizione, così interpretata, appare al giudice rimettente in contrasto con gli artt. 2 e 3, secondo comma, 31, primo comma, 32, 34 e 38, terzo comma, della Costituzione, in quanto “la rigida riconducibilità della provvidenza in parola al requisito della iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio” si porrebbe in contrasto “con i principi fondamentali di uguaglianza sostanziale, di tutela della persona e di solidarietà sociale sanciti dalla Carta costituzionale”.
Come precisato in narrativa, nel caso di specie il ricorrente – maggiorenne invalido parziale in età scolare – aveva adito in sede di appello il Tribunale di Lucca per chiedere la riforma della sentenza pronunciata dal Pretore di Lucca il 24 aprile 1999, con la quale, in considerazione della mancata iscrizione nelle liste speciali di collocamento, era stata respinta la domanda nei riguardi dell’INPS per il riconoscimento dell’assegno di invalidità nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1997 e il 30 settembre 1997.
La questione è quindi indubbiamente rilevante, posto che la disposizione impugnata, nella prospettazione del giudice a quo, non assicura all’invalido la fruizione dell’assegno mensile previsto dalla norma censurata.
2. – Nel merito, la questione è infondata nei sensi di seguito specificati.
2.1. – Giova premettere all’esame della specifica questione sollevata un sia pur sintetico cenno alle linee generali in materia di provvidenze economiche a favore dei soggetti disabili.
Le persone disabili che frequentano la scuola percepiscono, fino all’età di diciotto anni e ricorrendo determinate condizioni reddituali, l’indennità di frequenza (art. 1, comma 3, della legge 11 ottobre 1990, n. 289). La suddetta indennità spetta, peraltro, agli invalidi minorenni che frequentino anche periodicamente centri ambulatoriali o centri diurni, pure di tipo semiresidenziale, pubblici o privati, purché operanti in regime convenzionale, specializzati nel trattamento terapeutico o nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di handicap (art. 1, comma 2, della legge n. 289 del 1990). Al compimento della maggiore età i disabili devono sottoporsi a una visita medica obbligatoria presso una commissione medica per accertare la persistenza dell’handicap e misurare l’eventuale percentuale di invalidità. Ove sia accertata una riduzione della capacità lavorativa superiore ai due terzi si ha diritto all’assegno mensile a condizione che la persona sia “incollocata” al lavoro e sempre che ricorrano determinate condizioni reddituali. Al compimento del sessantacinquesimo anno di età è prevista l’automatica trasformazione della provvidenza in parola in pensione sociale (art. 19 della legge 30 marzo 1971, n. 118).
Agli invalidi di età superiore agli anni 18, nei cui confronti sia accertata una totale inabilità lavorativa, è concessa una pensione di inabilità (art. 12 della legge n. 118 del 1971), alla quale si aggiunge un’indennità di accompagnamento per l’ipotesi in cui abbisognino di assistenza continua (art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18).
2.2. – Il soggetto disabile che frequenta la scuola ha dunque senz’altro diritto alla relativa indennità fino all’età di diciotto anni, mentre oltre questo limite è prevista la corresponsione di un assegno mensile, a condizione che la persona sia “incollocata” al lavoro. Più precisamente, la corresponsione dell’assegno mensile è condizionata dalla ricorrenza di tre requisiti: il requisito sanitario (percentuale di invalidità civile), il requisito economico (rispetto del limite di reddito) e il requisito dello stato di “incollocazione al lavoro”.
Avuto riguardo al complessivo sistema normativo e non rilevando nel caso di specie la previsione relativa all’indennità di frequenza, non invocata dal giudice a quo in quanto riguardante i soli disabili di età inferiore ai diciotto anni, è senz’altro ipotizzabile rispetto al sintagma “incollocati al lavoro”, contenuto nella disposizione censurata, una interpretazione diversa da quella prospettata nell’ordinanza di rimessione che sia conforme a Costituzione, tenuto conto della particolare condizione del soggetto che intenda proseguire il corso degli studi.
Del resto la possibilità di enucleare “una accezione ulteriore” del requisito dello stato di “incollocazione al lavoro” è stata sostenuta dalla stessa Corte di cassazione, che, pur ribadendo il proprio orientamento, ha precisato che i soggetti invalidi di età compresa tra i cinquantacinque e i sessantacinque anni, i quali non possono essere iscritti negli elenchi di cui all’art. 1 della legge n. 482 del 1968, devono poter provare il loro stato di disoccupazione o non occupazione “con gli ordinari mezzi di prova, comprese le presunzioni” (Cass., sez. lav., 2 gennaio 2001, n. 4).
La “ulteriore accezione” del requisito ben può essere estesa alla diversa ipotesi dell’invalido che frequenti la scuola per le ragioni di seguito sviluppate.
La sola iscrizione – o la richiesta di iscrizione – nelle liste di collocamento per il disabile maggiorenne che frequenti la scuola, se intesa come condizione imprescindibile per l’erogazione dell’assegno mensile, costituirebbe un adempimento meramente formale, contrario allo spirito della legislazione più recente rivolta alla valorizzazione della capacità lavorativa residua dei disabili attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato, nel più ampio quadro della promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa di questi soggetti (legge 12 marzo 1999, n. 68).
Viceversa, l’interpretazione della disposizione censurata che permette di considerare l’ipotesi della frequenza scolastica come condizione per la fruizione dell’assegno mensile per l’invalido maggiorenne, in quanto rivolta a favorire il diritto all’istruzione contro ogni possibile ostacolo che di fatto impedisca il pieno sviluppo della persona umana (sentenze n. 215 del 1987; n. 226 del 2001), si rivela funzionale ad un più proficuo successivo inserimento nella società e nel mondo del lavoro. La norma, così ricavata, risponde senz’altro allo scopo prioritario della legislazione in tema di soggetti disabili rivolta a favorire una effettiva integrazione lavorativa, valorizzando le abilità residue di soggetti affetti da gravi minorazioni.
3. – Nei confronti dei soggetti disabili presi in considerazione dalla disposizione censurata, il requisito della incollocazione – interpretato alla luce dei principi fondamentali di uguaglianza sostanziale, di tutela della persona e di solidarietà sociale sanciti dalla Carta costituzionale e invocati dal giudice a quo per sostenere l’incostituzionalità della norma impugnata – va letto come comprensivo dell’ipotesi della frequenza scolastica, che pertanto costituisce condizione per l’erogazione dell’assegno mensile, dovendo l’invalido provare la ricorrenza dello stato di incollocazione attraverso il certificato di frequenza scolastica.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto legge 30 gennaio 1971 e nuove norme in favore di mutilati e invalidi civili), sollevata, in riferimento agli articoli 2 e 3, secondo comma, 31, primo comma, 32, 34 e 38, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Lucca, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 1° luglio 2002.