CORTE DI CASSAZIONE – sentenza n. 23160

depositata il giorno 8 novembre 2011

Omissis

La  Corte  di Appello di Lecce, con sentenza del 2.1.2008,  rigettava l’appello  proposto da M.V. avverso la sentenza del Tribunale Lecce, con la quale era stata rigettata la domanda avanzata dal  predetto per il riconoscimento del diritto all’indennità di accompagnamento.
Riteneva la Corte territoriale che doveva condividersi il parere espresso dal CTU, specialista in psichiatria, secondo cui il quadro patologico sofferto dall’assistibile (disturbo bipolare di tipo misto, epatopatia cronica HCV correlata) era tale da rendere necessaria una terapia continua, ma consentiva, comunque, al ricorrente di gestire autonomamente le sue quotidianità, personali e strumentali, anche perché la deambulazione era autonoma, in  assenza di altre patologie invalidanti. Rilevava che l’appellante si era limitato  a sollevare generiche censure alla relazione del CTU chiedendo sostanzialmente un nuovo giudizio valutativo sul disturbo psichico .
Avverso detta decisione  il M. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, con i quali deduce:
1) Violazione ed erronea applicazione dell’art. 149 disp. att. c.p.c. e la contemporanea omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, sul rilievo  che con l’atto di appello esso istante aveva fatto richiamo al deposito di certificato ASL rilasciato in  data 11.4.2006  dal Dipartimento  Salute  Mentale, attestante  l’ulteriore  irreversibile aggravamento  della  patologia con diagnosi  “Disturbo bipolare in trattamento continuo con sali di litio ed episodi  maniacali recidivanti con bizzarrie del comportamento” e che era stata  omessa la  valutazione del morbo di Parkinson.  All’esito della parte argomentativa di tale motivo di ricorso, il ricorrente  pone quesito di diritto, domandando se il giudice  di secondo grado,  nei procedimenti per prestazione assistenziale, ai sensi delle L.  n. 18 del 1980 e L. n. 508 del 1988, ove l’istante depositi  nuova documentazione attestante l’aggravamento di  patologie  acquisite  o nuove  patologie, debba valutare la stessa documentazione e  disporre nuovo  accertamento tecnico di ufficio e debba motivare, ove  ritenga di non disporlo.
2)  Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art.  360 c.p.c., n. 5, in relazione alle L. n. 18 del 1980, art. 1 e L. n. 508 del 1988.
Pone richiamo all’avvenuto deposito di  documentazione attestante nuove  patologie e l’aggravamento di quelle già in essere ed  assume la  rilevanza e decisività di tali prove in relazione anche a quanto ritenuto da giurisprudenza di legittimità, che ha riconosciuto  il diritto all’indennità di accompagnamento anche se la necessità dell’aiuto  di  terzi  si manifesti periodicamente nel corso della giornata, in cui si alternano momenti di assistenza attiva e  momenti di attesa qualificabili come di assistenza passiva.
3) Violazione ed erronea applicazione della L. n. 18 del 1980, art. 1 e  L.  n.  508 del 1988; contemporanea insufficiente motivazione,  ex art. 360 c.p.c., n. 5.
Richiama sentenza della S.C. n. 1268/05 ed ulteriore decisione in cui si  esclude  che la  necessità dell’aiuto fornito  da  terzi  debba perdurare  per  l’intera  giornata  (Cass.  n  5784/2003) e censura l’applicazione di una nozione restrittiva di  atti  della   vita quotidiana, seguita dai giudici del merito, domandando se il giudice, relativamente alle domande di prestazioni assistenziali ex lege n. 18 del  1980  e  L. n. 508 del 1988, debba valutare, relativamente  agli atti  della  vita  quotidiana, non solo  quelli  relativi  alla  vita vegetativa   ma   anche  quelli  afferenti  alla  vita   sociale, e l’assistenza sia attiva che passiva.

Resiste con controricorso l’INPS.
Sono rimasti intimati il M.E.F. ed il Comune di Melissano.
Il  Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione  in  forma semplificata.

E’  stato osservato da questa Corte che la disposizione dell’art. 149 disp.  att.  cod.  proc.  civ.,  che impone  di  valutare  anche  gli aggravamenti  incidenti  sul complesso invalidante verificatisi  nel corso del procedimento  amministrativo e giudiziario, trova applicazione – quale espressione di un principio generale di economia processuale,  anche  per  la  particolare  prestazione  assistenziale dovuta gli invalidi non autosufficienti, e cioè per la indennità di accompagnamento di cui alla L. n. 18 del 1980, atteso che il giudizio concernente  detta indennità, come quelli relativi alle  prestazioni assistenziali   in   genere, ha per oggetto non già l’atto amministrativo di reiezione della domanda, ma l’esistenza del diritto dell’assicurato alla pensione, e quindi dei relativi presupposti che, in  applicazione  del  citato art. 149 disp. att.  cod.  proc.  civ., devono  essere accertati non solo con riferimento alla data dell’atto amministrativo di  reiezione,  bensì con  riguardo al periodo successivo e  fino alla pronuncia giudiziaria. All’affermazione  di tale  principio e’ stato aggiunta la considerazione che tale obbligo non è  subordinato ad  una richiesta  di  parte, e nemmeno alla produzione  di  documenti  effettuata  dalla  parte, essendo invece immanente  nella  stessa  funzione  giudicante  e  connesso  ad  ogni elemento  processuale che delinei la necessità dell’accertamento e che, nell’adempimento di detto obbligo, il giudice di merito conserva l’insindacabile  potere  di  apprezzare  l’idoneita’  degli  elementi prospettati  dalla  parte  o acquisiti di  ufficio  ad  esprimere  un sopravvenuto rilevante deterioramento della situazione patologica  ed a  delineare l’esigenza di conseguenti accertamenti, e, in caso di ritenuta  irrilevanza degli indicati elementi, ha l’onere di motivare adeguatamente  l’esercizio del potere stesso (Cfr. in termini,  Cass. 23 agosto 2003 n. 12408). Peraltro, al riguardo, deve condividersi il principio alla cui stregua, nelle controversie relative a prestazioni  previdenziali od assistenziali fondate sull’invalidità del richiedente, il ricorrente, che abbia censurato  la  decisione  del giudice d’appello per violazione dell’art. 149 disp. att. cod.  proc. civ.,  ha  l’onere  di dimostrare di aver dedotto e  comprovato,  con adeguata  documentazione,  non  solo l’esistenza  degli  aggravamenti delle  malattie  e le nuove infermità sopravvenute  al  giudizio  di primo grado, ma anche la determinante rilevanza delle nuove patologie in  modo  da  rendere  palese che la positiva valutazione  dei  fatti dedotti  avrebbe comportato con certezza la declaratoria del  diritto alla  prestazione  richiesta in giudizio con la decorrenza  auspicata (cfr. Cass 13 ottobre 2010 n. 21151).
Orbene,  non  risulta  che  nel caso di specie  il  ricorrente  abbia assolto tale  secondo onere ed in ogni caso il  mero  richiamo,  nel ricorso  per  cassazione,  alla certificazione  medica  asseritamente depositata con il ricorso in appello non soddisfa le prescrizioni  di cui  all’art.  369  c.p.c., n. 4 (deposito dei documenti su cui  il ricorso si fonda), onde, per tale assorbente ragione, il primo motivo ed  il secondo motivo di ricorso, che si fondano sulla certificazione sanitaria in questione, devono essere dichiarati improcedibili.
Quanto  alle  ulteriori  doglianze  espresse  con  il  terzo  motivo, sull’adozione  di  un  criterio restrittivo della  nozione  di  “atti quotidiani  dell’esistenza”,  deve  osservarsi  che,  in  ordine   ai presupposti per l’attribuzione dell’indennità di accompagnamento, la nozione  di incapacità di compiere autonomamente le comuni attività del vivere  quotidiano  con carattere continuo  comprende  anche  le ipotesi  in  cui la necessita’ di far ricorso all’aiuto di  terzi  si manifesta  nel corso della giornata ogni volta che sia necessario al soggetto compiere una determinata attività della vita quotidiana per la quale  non  può fare a meno dell’aiuto di  terzi,  per cui  si alternano   momenti di  attesa,  qualificabili  come  di  assistenza passiva,  a  momenti di assistenza attiva. La  situazione di  non autosufficienza, che è alla base del riconoscimento del diritto in esame, è caratterizzata,  pertanto,  dalla  permanenza  dell’aiuto fornito   dall’accompagnatore per  la deambulazione,  o dalla quotidianità degli atti che il soggetto non è in grado di  svolgere autonomamente:  in  tale  ultimo caso, è la cadenza  quotidiana  che l’atto  assume per la propria natura a determinare la permanenza  del bisogno,  che costituisce la ragione stessa del diritto. Ne  consegue che,  nell’ambito  degli atti che il soggetto  non  e’  in  grado di compiere  autonomamente, anche una pluralità di atti,  se  privi  di cadenza  quotidiana,  non  determina la non autosufficienza  prevista dalla norma per la concessione del beneficio di cui si tratta, mentre anche un solo atto, che abbia cadenza quotidiana, determina detta non autosufficienza. La relativa valutazione, tuttavia, e’  apprezzamento di  fatto,  insindacabile in Cassazione ove privo di  vizi  logici  e giuridici  (cfr.  Cass.  11 settembre 2003 n.  13362,  conf.  Cass  4 gennaio 2005 n. 88), sicché deve ritenersi corretta la decisione  di merito  che  abbia accertato, come nella specie, che pur  dovendo  il soggetto assistibile sottoporsi a terapia continua, lo stesso sia  in grado  di  gestire  autonomamente le sue  quotidianità personali  e strumentali, “anche perché  la deambulazione è autonoma ed  efficace ed  il  rachide è sufficientemente mobile,  in  assenza  di  altre patologie altamente invalidanti”.
Non  sono  stati evidenziati, invero, al riguardo errori diagnostici tali da inficiare le conclusioni adottate, onde deve ritenersi che il soggetto  sia stato ritenuto sufficientemente in grado di  provvedere alla  somministrazione  di  farmaci senza  necessita’  di  assistenza quotidiana.
Al  rigetto  del  ricorso consegue la condanna  del  soccombente  al pagamento  delle  spese  del  presente giudizio,  liquidate  come da dispositivo, non potendo applicarsi l’esonero previsto dall’art.  152 disp. att. cod. proc. civ.: Il M. ha presentato, in allegato al ricorso introduttivo, una dichiarazione dalla quale risulta che il reddito  familiare per l’anno 2003 (quello anteriore al deposito  del ricorso  di  primo grado ed in data 4.6.2004) e’ di  Euro  18.850,00, quindi  superiore al quello previsto dal D.P.R. 30 maggio  2002,  n. 115, art. 76 richiamato dal citato art. 152.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta il ricorso e condanna il ricorrente  al  pagamento delle  spese  del  presente giudizio, liquidate  in  Euro  22,00  per esborsi, Euro 1500,00 per onorario, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2011



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