Nota AIFA 74


Farmaci per l’infertilità femminile e maschile: – Corifollitropina alfa – Coriogonadotropina alfa – Follitropina alfa – Follitropina alfa/Lutropina alfa – Follitropina beta – Lutropina alfa – Menotropina – Urofollitropina


La prescrizione a carico del SSN, su diagnosi e piano terapeutico di strutture specialistiche, secondo modalità adottate dalle Regioni e dalle Province Autonome di Trento e Bolzano, è limitata alle seguenti condizioni:

  • trattamento dell’infertilità femminile: in donne di età non superiore ai 45 anni con valori di FSH, al 3° giorno del ciclo, non superiori a 30 mUl/ml
  • trattamento dell’infertilità maschile: in maschi con ipogonadismo-ipogonadotropo con livelli di gonadotropine bassi o normali e comunque con FSH non superiore a 8 mUI/ml
  • preservazione della fertilità femminile: in donne di età non superiore ai 45 anni affette da patologie neoplastiche che debbano sottoporsi a terapie oncologiche in grado di causare sterilità transitoria o permanente. – Corifollitropina alfa – Coriogonadotropina alfa – Follitropina alfa – Follitropina beta – Menotropina – Urofollitropina

Background

L’infertilità di coppia, definita come l’incapacità a concepire figli dopo un anno di rapporti sessuali regolari senza adozione di misure contraccettive, è un problema di vaste proporzioni che coinvolge anche in Italia decine di migliaia di persone.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima intorno al 15-20% le coppie con problemi di fertilità nei paesi industrializzati avanzati.

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Le cause dell’infertilità possono essere ricondotte a fattori maschili, come alterazioni quantitative e qualitative dei parametri seminali, a fattori femminili, come disturbi ovulatori, patologie ovariche, difetti tubarici e cervicali, e a fattori riferiti a entrambi i membri della coppia. In particolare, i dati del registro italiano sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) indicano che, tra le coppie che accedono a tecniche PMA di secondo o terzo livello, l’infertilità è dovuta a cause femminili nel 39.7% dei casi (infertilità endocrino-ovulatoria, ridotta riserva ovarica, fattore tubarico, endometriosi,fattore multiplo, poliabortività); maschili nel 26.5%; di coppia nel 18.4%; a cause idiopatiche nel 14.8% dei casi, altro (fattore genetico) 0.7% (http://www.iss.it/binary/rpma/cont/SINTESI_PMA_Dati_2013_ULTIMA.pdf) (1).

L’approccio farmacologico all’infertilità di coppia dipende, ovviamente, dal fattore eziologico e si avvale di varie molecole. Uno dei capisaldi della terapia sia nell’uomo che nella donna è rappresentato dall’impiego delle gonadotropine umane FSH ed LH da sole o in combinazione.

Nella donna il trattamento dell’infertilità femminile con gonadotropine è indicato nelle diverse condizioni patologiche di cicli anovulari. L’indicazione all’uso delle gonodatropine si è notevolmente ampliata negli ultimi decenni, in quanto le gonadotropine vengono utilizzate anche in donne normo-ovulanti sottoposte ad iperstimolazioni ovariche controllate necessarie al ripristino della fertilità mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita (FIVET, ICS).

Nell’uomo l’uso delle gonadotropine ha un fondamento razionale nella terapia sostitutiva dell’ipogonadismo ipogonadotropo, dove il deficit di gonadotropine è il responsabile dell’assenza di spermatogenesi e la somministrazione di preparati ad azione LH e FSH-simile avvia la maturazione tubulare e porta alla comparsa di spermatozoi nell’eiaculato.

Nelle donne affette da patologie neoplastiche che debbano sottoporsi a terapie oncologiche in grado di causare sterilità transitoria o permanente l’induzione della crescita follicolare ai fini della crioconservazione degli ovociti maturi rappresenta un’opportunità importante per perseguire un obiettivo di guarigione dal cancro con la preservazione di tutte le funzioni vitali, incluse la fertilità e il desiderio di procreazione.


Evidenze disponibili

Le gonadotropine sono una famiglia di ormoni di origine ipofisaria che esercitano un effetto stimolante sulle gonadi maschili e femminili e includono l’ormone follicolo-stimolante (FSH), l’ormone luteinizzante (LH) e la gonadotropina corionica (HCG). Le gonadotropine utilizzate a scopo farmacologico si possono ottenere per estrazione da urina umana o mediante tecnologia del DNA ricombinante, prodotte tramite transfezione della linea cellulare ovarica di criceto cinese con plasmidi contenenti le due sub unità geniche che codificano per l’FSH. Recentemente è stata messa a punto una nuova forma di FSH ricombinante, la coriofollitropina alfa, che presenta una lunga durata di azione e richiede quindi una sola somministrazione invece delle somministrazioni giornaliere degli altri tipi d FSH.

Nelle donne la perdita progressiva del potenziale di fertilità con il passare degli anni è dovuta principalmente al declino quantitativo e qualitativo dei follicoli ovarici e quindi degli ovociti, processo questo che si accentua durante la quarta decade di vita. La stimolazione ovarica con gonadotropine per l’induzione dello sviluppo dei follicoli multipli rappresenta una tappa fondamentale nei cicli di fecondazione assistita, permettendo un miglioramento significativo dei risultati clinici. Esistono differenti protocolli di induzione della crescita follicolare per la PMA e, grazie alla disponibilità di nuove molecole e alla possibilità di effettuare un’approfondita valutazione della funzionalità ovarica, si è arrivati ad una sempre maggiore individualizzazione del protocollo di stimolazione in base all’età della donna, alla riserva ovarica e ad eventuali stimolazioni precedenti (2). La tipologia di gonadotropine e la dose ottimale di FSH da impiegare per ottimizzare i risultati minimizzando i rischi devono essere basate sulla predizione della risposta ovarica di ogni singola paziente. I protocolli di induzione della crescita follicolare devono pertanto essere gestiti in centri clinici altamente specializzati per le tecniche di PMA.

Nell’uomo l’efficacia dell’utilizzo delle gonadotropine come terapia sostitutiva dell’ipogonadismo ipogonadotropo, sia primitivo che secondario, è ampiamente riconosciuta (3). Il ruolo delle gonadotropine nell’infertilità maschile idiopatica è invece ancora dibattuto in letteratura e i differenti studi condotti in merito non offrono sufficienti ed inequivocabili evidenze di un miglioramento significativo della percentuale di fecondazione e di gravidanze e dei parametri nemaspermici convenzionali nei pazienti trattati con differenti formulazioni di FSH. Sebbene una recente revisione della Cochrane sull’impiego delle gonadotropine nell’infertilità maschile idiopatica abbia mostrato una differenza statisticamente significativa nella percentuale globale di gravidanze per coppia a favore del gruppo in trattamento con gonadotropine con un 16% di gravidanze nel gruppo trattato rispetto al 7% nel gruppo di controllo (4), le più recenti linee guida europee non consigliano il trattamento con gonadotropine nell’infertilità maschile idiopatica.

Nelle persone con patologie oncologiche i trattamenti oncologici antiproliferativi sono associati ad un elevato rischio di infertilità temporanea o permanente. Il tasso di infertilità iatrogena è variabile e dipende da più fattori: classe, dose e posologia del farmaco impiegato, estensione e sede del campo di irradiazione, dose erogata e suo frazionamento, età e sesso dei pazienti, anamnesi di pregressi trattamenti per l’infertilità. Nella tabella che segue è riassunto il rischio associato ai principali trattamenti oncologici autorizzati con aggiornamento al 2015 (Tabella 1).

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Tabella 1. Rischio di amenorrea permanente nelle donne sottoposte a trattamenti oncologici [Fonte: AIOM 2015 Linee guida Preservazione della fertilità nei pazienti oncologici]

Grado del rischio

Trattamento

Rischio elevato (>80%)

– Trapianto di cellule staminali ematopoietiche con ciclofosfamide/irradiazione corporea totale o con ciclofosfamide/busulfano – Radioterapia esterna che includa nel campo d’irradiazione le ovaie – CMF, CAF, CEF, 6 cicli in una donna con età >40 anni

Rischio intermedio

– CMF, CAF, CEF, per 6 cicli in una donna tra 30 e 39 anni – AC, per 4 cicli in una donna con età >40 anni

Rischio basso (<20%)

– ABVD (doxorubicina/bleomicina/vinblastina/dacarbazina) – CHOP (ciclofosfamide/doxorubicina/vincristina/prednisone) – CVP (ciclofosfamide /vincristina/prednisone) – AML (antracicline/citarabina) – ALL (polichemioterapia) – CMF, CAF, CEF, 6 cicli in una donna con età <30 anni – AC 4 cicli in una donna di età <40 anni

Rischio molto basso o assente

– Vincristina – Metotrexate – Fluorouracile

Rischio sconosciuto

– Taxani – Oxaliplatino – Irinotecan – Anticorpi monoclonali (trastuzumab, bevacizumab, cetuximab) – Inibitori della tirosin-chinasi (erlotinib, imatinib)

 

Tra le strategie per prevenire il danno a carico delle gonadi nella donna con patologia oncologica l’utilizzo di gonadotropine per l’induzione della crescita follicolare ai fini della crioconservazione degli ovociti maturi non è considerata più una tecnica sperimentale dal gennaio 2013 (5) e rappresenta dunque la tecnica di prima scelta nelle pazienti che possano dilazionare l’inizio della terapia antineoplastica di 15 giorni e che abbiano una riserva ovarica adeguata per il recupero di un numero sufficiente di ovociti. Le linee guida della Practice Committee of ASRM, dell’ASCO, dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) e le Linee Guida dell’AIOM raccomandano l’applicazione estensiva della crioconservazione degli ovociti quale metodica di tutela della fertilità nelle pazienti con patologie neoplastiche (6-8). Nei protocolli standard l’induzione della crescita follicolare multipla inizia nei primi giorni della fase follicolare ed è quindi necessario attendere la comparsa del ciclo mestruale, cosa che in alcuni casi può ulteriormente ritardare l’inizio della chemioterapia. Per le pazienti oncologiche sono stati proposti dei “protocolli di emergenza” che prevedono l’inizio della stimolazione in qualsiasi giorno del ciclo mestruale riducendo notevolmente i tempi di attesa nei casi in cui la paziente sia in fase follicolare tardiva o luteale al momento della decisione di intraprendere il congelamento ovocitario. E’ stato dimostrato che il recupero ovocitario è adeguato anche nei cicli in cui la stimolazione inizia lontano dalla fase post-mestruale. Per donne con tumori ormono-responsivi (mammella, endometrio), sono stati sviluppati inoltre approcci alternativi di stimolazione ormonale utilizzando tamoxifene o inibitori dell’aromatasi, così da ridurre il rischio potenziale di esposizione ad elevate concentrazioni di estrogeni. In tutti i casi la scelta del dosaggio di gonadotropine deve essere individualizzata per conciliare la migliore stimolazione con i minori rischi di iperstimolazione.

Non è ancora chiaro se la risposta ovarica alla stimolazione nelle pazienti oncologiche sia peggiore rispetto ai controlli sani, ed eventualmente in quale patologia (sistemica o localizzata) bisogna attendersi una minore risposta. Una recente meta-analisi (227 cicli in pazienti oncologiche vs. 1258 cicli in pazienti infertili) riporta un minor numero di ovociti recuperati nei casi rispetto ai controlli (11.7±7.5 vs 13.5±8.4), ma la dose di gonadotropine utilizzate fra i due gruppi era significativamente differente (9) e altri lavori successivi a questa meta-analisi non hanno osservato differenze significative.

I tassi di successo del congelamento ovocitario, per quanto relativi a case report o a piccole serie di gravidanze in pazienti oncologiche, non sembrano differire rispetto a quelli della popolazione generale. In una serie monocentrica di casi su 357 pazienti che hanno effettuato una crioconservazione di ovociti, 11 pazienti hanno successivamente richiesto di utilizzare gli ovociti vitrificati prima delle terapia: il tasso di sopravvivenza degli ovociti è stato del 92.3%, con un tasso di fertilizzazione del 76.6%, e si sono ottenute 4 gravidanze evolutive (tasso di successo del 36.4%) (10).


Particolari avvertenze
Sulla base dei dati di letteratura ed al fine di evitare l’iperstimolazione ovarica, viene suggerito di non superare il dosaggio massimo complessivo di 12.600 UI/paziente diviso in due o più cicli non superando comunque il dosaggio massimo di 6.300 UI/ciclo nella donna. Nell’infertilità maschile si suggerisce di non superare il dosaggio massimo, per singola prescrizione, di 150 UI di FSH 3 volte alla settimana per 4 mesi. Se dopo i trattamenti con tali dosi non si ottiene un risultato positivo (nel trattamento dell’infertilità), eventuali nuovi trattamenti possono comportare rischi superiori ai risultati attesi.

Se effettuato con dosi improprie ed elevate, il trattamento con gonadotropine può essere responsabile:

  1. della cosiddetta sindrome da iperstimolazione ovarica, con passaggio di liquido nello spazio peritoneale e conseguenti ipovolemia, oliguria, emoconcentrazione, ascite massiva, eventualmente emoperitoneo, shock anche ad esito letale;
  2. di complicazioni polmonari (atelettasia, dispnea, tachipnea, sindrome della insufficienza respiratoria acuta), oltre a cisti ovariche, torsione degli annessi, forti caldane, reazioni febbrili, nausea, crampi addominali, meteorismo, gravidanze ectopiche e multiple.

 

Nei casi di iperstimolazione ovarica sono controindicati i rapporti sessuali, per il rischio di insorgenza di gravidanze plurime.

Nell’uomo, la somministrazione di gonadotropine provoca ginecomastia, dolore al seno, mastite, nausea, anormalità delle frazioni lipoproteiche, aumento nel sangue degli enzimi epatici, eritrocitosi.

Nelle donne affette da patologie neoplastiche in cui si effettua una stimolazione per la crioconservazione degli ovociti, l’utilizzo delle gonadotropine impone alcune considerazioni aggiuntive in merito alla sicurezza, in quanto l’insorgenza di complicanze può comportare un ritardo nell’inizio del trattamento oncologico e alcuni effetti collaterali possono rappresentare un rischio aggiuntivo rispetto a complicanze già note della patologia neoplastica di base (come ad esempio l’aumentato rischio trombotico legato all’iperestrogenismo indotto dalla stimolazione). E’ infine da considerare con attenzione il possibile effetto detrimentale della stimolazione ovarica sulla prognosi in caso di tumore endocrino-sensibile. Sebbene i pochi dati disponibili in letteratura indicano che le donne con carcinoma mammario sottoposte a stimolazioni per la preservazione della fertilità e successivamente sottoposte a chemioterapia adiuvante o neoadiuvante non hanno un peggioramento della prognosi in termini di sopravvivenza libera da progressione (11-12), persistono ancora alcune perplessità circa l’applicazione di strategie che prevedono una stimolazione ovarica nelle donne con tumori ormono-responsivi per l’eventuale rischio sull’evoluzione della malattia, legato agli elevati livelli di estradiolo a cui vengono esposte le donne nella fase di stimolazione ovarica.

I particolari aspetti di sicurezza impongono una comunicazione dettagliata alle pazienti riguardo le tecniche di preservazione della fertilità e i loro potenziali rischi. Inoltre il ricorso a tecniche di preservazione della fertilità nelle pazienti con patologie neoplastiche necessita di un approccio multidisciplinare che veda la collaborazione dell’oncologo e dello specialista in medicina della riproduzione.

Si rappresenta infine l’importanza della segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione dei medicinali, al fine di consentire un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio dei medicinali stessi. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare, in conformità con i requisiti nazionali, qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di farmacovigilanza all’indirizzo

http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/modalit%C3%A0-di-segnalaz ione-delle-sospette-reazioni-avverse-ai-medicinali


Bibliografia

1. Sintesi dell’attività dei centri di procreazione medicalmente assistita-Anno 2013- Report Registro Nazionale Italiano. http://www.iss.it/binary/rpma/cont/SINTESI_PMA_Dati_2013_ULTIMA.pdf

2. AIFA Concept Paper – Approccio farmacologico all’infertilità di coppia – le Gonadotrpine. http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/concept-paper-su-approcci o-farmacologico-allinfertilit%C3%A0-di-coppia-le-gonadotropine

3. Jungwirth A et al. for the European Association of Urology. Guidelines on male infertility 2015. http://uroweb.org/wp-content/uploads/17-Male-Infertility_LR1.pdf

4. Attia AM, Abou-Setta AM, Al-Inany HG. Gonadotrophins for idiopathic male factor subfertility. Cochrane Database System Rev 2013 Aug 23;8:CD005071.

5. Practice Committee of the American Society for Reproductive Medicine. Fertility preservation in patients undergoing gonadotoxic therapy or gonadectomy: a committee opinion. Fertil Steril 2013;100:1214-23.

6. Loren AW, Mangu PB, Nohr Beck L, et al. Fertility preservation for patients with cancer: American Society of clinical Oncology clinical practice guideline update. J Clin Oncol 2013; 31:2500-2510

7. Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Linee guida – Preservazione della fertilità nei pazienti oncologici. Edizione 2015. http://www.aiom.it/professionisti/documenti-scientifici/linee-guida/p reservazione-fertilita/1,713,1,

8. Lambertini M, del Mastro L, Pescio MC, et al. cancer and fertility preservation: International recommendations form an expert meeting. BMC Medicine 2016;14:1-16.

9. Friedler, S., Koc, O., Gidoni, Y., Raziel, A. & Ron-El, R. Ovarian response to stimulation for fertility preservation in women with malignant disease: a systematic review and meta-analysis. Fertil Steril 2012;97:125-133.

10. Martinez M, Rabadan S, Domingo J, Cobo A, Pellicer A, Garcia-Velasco JA. Obstetric outcome after oocyte vitrification and warming for fertility preservation in women with cancer. Reprod Biomed Online. 2014;29(6):722-8.

11. Azim AA, Costantini-Ferrando M, Oktay K, et al. Safety of fertility preservation by ovarian stimulation with letrozole and gonadotropins in patients with breast cancer: a prospective controlled study. J Clin Oncol 2008;26:2630-2635.

12. Kim J, Turan V, Oktay K. Long-Term Safety of Letrozole and Gonadotropin Stimulation for Fertility Preservation in Women With Breast Cancer. J Clin Endocrinol Metab. 2016;101(4):1364-71.





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